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Pagamenti digitali: cresce il Buy Now Pay Later

Grazie alla piena ripresa delle attività e dei servizi di intrattenimento nel 2022 il numero di pagamenti effettuati con strumenti diversi dal contante a livello nazionale è cresciuto del +16% (+21% i pagamenti con le sole carte).
Ma se nel 2022 il valore complessivo del transato tramite carte di credito aumenta (+20%) si conferma il trend decrescente del numero di carte attive, iniziato tra il 2019 e il 2020.

Tra le innovazioni più significative introdotte negli ultimi anni si fa strada il Buy Now Pay Later, sistema conosciuto da oltre la metà della popolazione italiana in età 18-64 anni e dal 66% della GenerazioneZ. Emerge dalla 21a edizione dell’Osservatorio Carte di Credito e Digital Payments, curato da Assofin, Ipsos e Nomisma con il contributo di CRIF.

Tasso di crescita annuo a doppia cifra 

In Italia, sebbene il metodo di pagamento online più diffuso sia ancora la carta, il BNPL registra un tasso di crescita annuo a doppia cifra e dovrebbe raggiungere oltre 3 miliardi di euro entro il 2026.
A livello globale, il BNPL ha rappresentato nel 2022 il 5% dei pagamenti.

Nonostante la veloce ascesa, l’Osservatorio mette in luce alcuni dubbi rispetto alla proposta del BNPL come servizio stand alone, in particolare se si pensa alla sostenibilità del business in un contesto europeo caratterizzato da tassi di interesse elevati. Piuttosto, il BNPL può essere immaginato come servizio complementare da offrire in una logica di portafoglio più ampia.

Resta elevata l’attenzione alla qualità del credito

Malgrado un contesto che nel 2022 ha visto il tasso di insolvenza attestarsi su livelli inferiori a quelli registrati per il credito al consumo, resta tuttavia elevata l’attenzione rispetto alla qualità del credito.
La stretta normativa che deriverà dall’introduzione della nuova direttiva in materia di credito ai consumatori, che pone tra i suoi principali obiettivi la tutela dei consumatori dal rischio di sovra indebitamento, imporrà ai player di mercato di adottare prassi più stringenti per valutare e garantire la sostenibilità finanziaria delle operazioni che propongono.

L’analisi della domanda

La domanda mostra un trend decrescente relativamente alla diffusione delle carte, ma una crescita della spesa media mensile, e un incremento della frequenza dei pagamenti digitali.
In costante aumento gli heavy user della funzionalità contactless della carta di credito, con il 33% dei titolari che la utilizza più di 6 volte al mese. Sale anche la frequenza di utilizzo media, pari a 4,5 volte al mese.

La perdurante inflazione generato però nuove attese di azioni concrete anche da parte dell’Industry Finanziaria. Una direzione chiave per contrastare l’inflazione è costituita dal proporre al mercato soluzioni innovative che vadano a ribilanciare il value for money percepito, accrescendo il valore dell’esperienza e di prodotti e servizi e restituendo semplificazione, gratificazione, sostenibilità, time saving.
Tra queste, i pagamenti via smartphone/app, e l’Open Banking/Finance, con cui è possibile offrire al consumatore numerosi strumenti per un maggiore controllo e consapevolezza delle spese e della propria situazione finanziaria.

Lavoro: solo il 47% degli italiani è soddisfatto

Gli italiani non sono molto contenti del proprio lavoro. Solo 47 occupati italiani su 100 dichiarano elevati livelli di soddisfazione del proprio lavoro, il 7% in meno rispetto alla media europea, e una percentuale distante anni luce dal 71% e oltre di Paesi come Finlandia, Islanda, Olanda, Norvegia, Belgio. Sono meno soddisfatti di noi solo greci, serbi, polacchi, cechi e spagnoli.
Di fatto gli occupati italiani sono in fondo alla classifica della European social survey, l’indagine che confronta 30 Paesi membri dell’UE ed extra Ue (oltre a Israele) sulla soddisfazione per il proprio lavoro, presentata a Roma dall’Inapp. Per l’occasione, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, ha realizzato il primo Rapporto nazionale della European Social Survey in Italia.

Prima e dopo la pandemia: cosa è cambiato?  

La quota di occupati italiani che dichiarano di essere altamente o mediamente soddisfatti si riduce ancor di più se i livelli di istruzione non sono elevati, i contratti di lavoro temporanei, gli inquadramenti professionali a bassa qualificazione, e se la cittadinanza non è italiana.
“Già prima dell’evento pandemico la possibilità per i lavoratori di scegliere il luogo dove prestare la propria attività lavorativa era meno diffusa in Italia rispetto ad altri Paesi. Con la crisi pandemica questa si è estesa, specialmente in alcuni settori e per gli occupati a più alta qualifica professionale – afferma il professor Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp -, ma notevoli fasce di occupazione sono rimaste escluse. Anche oggi la diseguaglianza nella possibilità di fruire di tale possibilità tra le diverse categorie di lavoratori costituisce un problema”.

La soddisfazione dipende dalla flessibilità

“Come per la maggior parte dei Paesi presi in esame, anche in Italia la soddisfazione lavorativa dipende ormai in modo significativo dalla flessibilità oraria e dalla possibilità di scelta del luogo della prestazione lavorativa – continua Fadda -. Due dati dell’indagine lo dicono chiaramente: la quota di occupati altamente soddisfatti sale dal 47% al 68% (+21%) nel caso in cui si possa beneficiare di flessibilità oraria. Lo stesso vale per tutti i Paesi analizzati, la cui media passa dal 54% al 69%. Al contrario, la quota di altamente soddisfatti scende al 44,6% nel caso in cui non ci sia la possibilità di scegliere il luogo dove svolgere il proprio lavoro”.

L’autodeterminazione di luoghi e tempi di lavoro misura il livello di autonomia

Tuttavia, in Italia la quota di occupati che possono avvalersi di tale autonomia risulta ancora molto limitata. Solo il 15,7% degli occupati italiani può scegliere inizio e fine del proprio orario di lavoro (rispetto al 20,6% medio degli altri Paesi) e solo il 30,8% può scegliere il luogo di lavoro (contro il 42,3%).
Più penalizzati risultano i lavoratori con basso livello di istruzione, bassa professionalità e contratti non stabili, riferisce Adnkronos. La maggior possibilità di autodeterminazione dei luoghi e dei tempi per svolgere il proprio lavoro quotidiano possono essere interpretate come sintomi di autonomia sul lavoro. Sotto questo punto di vista l’Italia, insieme ai Paesi dell’Europa dell’Est e mediterranei, è tra quelli in cui vi è maggiore rigidità. All’estremo opposto i Paesi del Nord Europa e dell’Europa continentale.