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Cosa cercano le aziende nei candidati? Competenze ed esperienza

Competenze ed esperienza sono ora i principali punti di riferimento nel panorama attuale del mercato del lavoro. È evidente che sia giunta al termine l’era in cui il possesso di un titolo di studio garantiva accesso a opportunità lavorative. Le aziende danno ora maggiore importanza alle competenze pratiche e all’esperienza professionale dei candidati. Questo cambiamento, noto come ‘Skills economy’, è stato avviato già nel 2008 con la Grande Recessione e accentuato dalla pandemia, sottolineando che la laurea da sola non garantisce né un lavoro ben remunerato né una carriera di successo.

Il mercato del lavoro in costante evoluzione richiede competenze diverse ogni giorno, il che rappresenta una sfida per molte aziende. Un recente sondaggio condotto da Springboard ha rivelato che più di un terzo dei leader aziendali ritiene che la durata delle competenze tecniche attuali sia inferiore a 2 anni, e il 78% prevede che le “hard skill” diventeranno obsolete entro 5 anni.

Entro il 2028 il 44% delle competenze attuali non servirà più

Questi dati sono confermati dall’ultimo Future of Jobs Report del World Economic Forum, che indica che entro il 2028 il 44% delle competenze dei lavoratori subirà cambiamenti significativi, rendendo alcune competenze obsolete o richiedendo aggiornamenti sostanziali. Attualmente, il 70% dei leader aziendali riconosce l’esistenza di un divario di competenze che influisce negativamente sulle prestazioni aziendali, limitando l’innovazione e la crescita.

Come acquisire le giuste competenze

La mancanza di competenze è un problema sia per le aziende, che faticano ad attirare i talenti giusti, sia per i giovani, che hanno difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro senza le competenze richieste. Zeta Service, azienda specializzata in servizi HR e payroll, ha istituito un Campus gratuito per formare le future generazioni, condividendo know-how e coltivando il talento.

Se da un lato il reclutamento rappresenta una sfida per le imprese a causa della mancanza di competenze, dall’altro i giovani riconoscono l’importanza della formazione. Secondo un recente rapporto di LinkedIn, il 53% della Generazione Z ritiene che “imparare” sia fondamentale per progredire nella carriera.

La Gen Z sta ridefinendo il mondo del lavoro

La Gen Z, insieme ai Millennial, sta ridefinendo il mondo del lavoro, ponendo maggiore attenzione alla soddisfazione lavorativa e rifiutando ruoli che non rispecchiano i propri valori. Gli studenti universitari considerano essenziali i benefici derivanti dalla formazione quando valutano opportunità lavorative.

La maggior parte dei dipendenti desidera imparare nuove competenze, ma molti ritengono che le aziende non dedichino abbastanza risorse all’apprendimento. Il Campus Zeta Service si propone di colmare il divario tra conoscenze e competenze, offrendo un investimento a lungo termine per adattarsi al rapido cambiamento del mercato del lavoro e per promuovere lo sviluppo personale e professionale dei partecipanti. Alla fine del Campus nel 2023, il 73,3% dei partecipanti è stato inserito in azienda.

Lavoro: meno centrale per i giovani, poco valorizzante per i senior

La ricerca ‘Oltre le generazioni. Esperienze, relazioni, lavoro’, realizzata dal Centro Studi di Valore D, in collaborazione con Behave Lab dell’Università degli studi di Milano, indaga la realtà delle 4 generazioni attualmente attive nel mercato del lavoro, Baby Boomers (BB), GenX, Millennials e GenZ.

I giovani entrano nel mondo del lavoro portando una prospettiva diversa, che si contraddistingue per il desiderio di coltivare altre dimensioni della vita personale. E se in generale per la GenZ il lavoro perde centralità, non è così per le donne della medesima generazione.
Smentendo lo stereotipo che vuole gli uomini nel ruolo di ‘breadwinner’, le donne si rivelano vere e proprie ‘equilibriste’, che per affermarsi nella sfera lavorativa sottraggono tempo al proprio benessere.

Acquisire competenze accomuna tutte le generazioni

Copertura sanitaria e stabilità contrattuale sono in cima alla classifica dei driver più importanti per i senior, mentre per Millenial e GenZ prevalgono un aspetto esplorativo e l’importanza del worklife balance.

Per le giovani generazioni anche la possibilità di ottenere congedi è un driver importante. Quello che chiedono è un riconoscimento della genitorialità che vada oltre gli stereotipi di genere.
La motivazione a lavorare sulle proprie competenze accomuna invece tutte le generazioni. Ma se l’upskilling emerge in particolare nella GenZ, il reskilling è una richiesta sentita da un Baby Boomer su tre.

Baby Boomer nel limbo del prepensionamento

Flessibilità e smart working emergono come modalità lavorative cruciali per tutte le 4 generazioni, e vengono richieste in percentuali simili da donne e uomini.
Implementare forme di lavoro sostenibile è un driver necessario al benessere, perché consente di bilanciare lavoro e vita privata. Un’esigenza che non appartiene solo ai giovani.

I BB però si sentono poco valorizzati ed esclusi dalla vita aziendale, nonostante persista la voglia di contribuire attivamente e trasmettere il proprio know-how alle nuove generazioni.
Pur mantenendo un certo grado di autorevolezza tra i colleghi, in molti si percepiscono in un limbo di prepensionamento, uno spreco di capitale umano, in particolare chi ha ancora diversi anni da trascorrere in azienda.

Millennials nella golden age del mercato del lavoro

Analogamente, anche la GenZ si trova in una zona d’ombra, a cavallo tra l’ingresso in azienda e la piena partecipazione/riconoscimento nell’organizzazione.
Quasi uno su due (47,8%) percepisce la propria età come un ostacolo a far valere le proprie opinioni con colleghi e responsabili.
I Millennials, invece, sono potenzialmente nella loro golden age nell’attuale mercato del lavoro, ma 1 su 3 considera l’età come un ostacolo per ottenere una promozione, e 1 su 4 riscontra difficoltà nello sviluppo professionale e personale.

Tra gli specialisti Hr e Dei emerge poi la messa in discussione del termine ‘talento’ come sinonimo di giovane età.
Le parole più usate per descrivere il talento in azienda, entusiasmo, curiosità, capacità di adattamento, brillantezza, buona volontà, sono senza limiti anagrafici.

Quanto tempo occorre per assegnare posizioni di cybersecurity? Da 3 a 6 mesi

In Europa in media sono necessari anche sei mesi per occupare una posizione nel settore della sicurezza informatica. Lo ha scoperto l’ultima ricerca di Kaspersky, ‘The portrait of the moderne Information Security Professional’, che valuta lo stato attuale del mercato del lavoro e analizza le ragioni della carenza di esperti di cybersecurity.

In Europa, infatti, il 31% delle aziende europee dispone di team di cybersecurity carenti a livello di personale. E per trovare un professionista qualificato nel campo della cybersecurity ha bisogno da 3 a 6 mesi.
A fronte di un mercato del lavoro alla continua ricerca di professionisti InfoSec, la mancanza di esperienza qualificata è stata citata dagli intervistati come una delle maggiori sfide, insieme agli alti costi di assunzione e alla concorrenza globale nell’acquisizione di talenti.

Per il personale di livello superiore i tempi si allungano anche a un anno

In Europa la ricerca di personale per le posizioni di livello superiore richiede più tempo, con il 45% delle aziende che dichiara di aver bisogno di quasi un anno o più, mentre le figure junior richiedono tempi più brevi, da uno a tre mesi, secondo il 36% degli intervistati.

Questi dati sono preoccupanti, poiché le aziende che operano per lunghi periodi senza il personale necessario corrono un rischio molto elevato, in quanto l’assenza di figure di cybersecurity offre ai criminali informatici l’opportunità di accedere alle infrastrutture e danneggiare i processi aziendali.

La discrepanza tra certificazioni e competenze reali

Alla domanda su quali siano le maggiori difficoltà nel ricercare e assumere il professionista InfoSec ‘giusto’, la maggioranza degli intervistati ha indicato la discrepanza tra certificazioni e reali competenze pratiche (57%) e la mancanza di esperienza (42%), sottolineando come le competenze professionali comprovate siano una delle caratteristiche più importanti che le aziende cercano in un professionista di cybersecurity.

Inoltre, gli elevati costi di assunzione sono un ostacolo per il 52% dei dirigenti europei, e la concorrenza globale, espressa attraverso pratiche di assunzioni attente e competitive da parte di più organizzazioni, preoccupa più del 30% degli intervistati.

Pmi: meglio rivolgersi a un MSSP

Questi dati dimostrano che anche se un’azienda dovesse trovare candidati che soddisfino tutti i requisiti ciò non significa che poi lavoreranno per quell’azienda. Poiché in un ambiente così competitivo altre organizzazioni potrebbero cercarli, e il processo di assunzione potrebbe proseguire all’infinito.

“Le aziende spesso dedicano molto tempo non solo al processo di selezione, ma anche alla formazione, nel tentativo di sviluppare un team diversificato all’interno dell’azienda – commenta Ivan Vassunov, VP, Corporate Products, Kaspersky -. Questa strategia è efficace per le grandi aziende e le organizzazioni che devono rispettare molti standard e normative locali. Per quanto riguarda le piccole e medie imprese, di solito si consiglia di esternalizzare le attività di cybersecurity, affidandole a Managed Security Service Provider (MSSP), colmando le lacune di personale in breve tempo e con perdite minime”.

Ridurre il tempo di lavoro: è l’obiettivo per 67,7% degli occupati italiani

Oggi il lavoro influenza meno la vita privata rispetto al passato, perché ci si dedica ad attività e valori reputati più importanti. Lo pensa il 54,2% dei giovani, il 50,1% degli adulti e il 52,6% degli anziani. In generale, il 52,1% degli occupati in Italia.
Inoltre, il 30,5% (34,7% giovani) dichiara di impegnarsi nel lavoro lo stretto necessario, rifiutando straordinari, chiamate o mail fuori dall’orario di lavoro, ed eseguendo solo ciò che gli compete per mansione. E quasi il 28% ha rinunciato a un lavoro migliore perché la sede era troppo distante dalla propria abitazione.

È quanto emerge dal 7° Rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale, realizzato in collaborazione con Eudaimon, e il contributo di Credem, Edison, Michelin e OVS. In futuro, il 67,7% degli occupati italiani vorrebbe ridurre il tempo dedicato al lavoro. In particolare, il 65,5% dei giovani, il 66,9% degli adulti e il 69,6% degli over50.

Nessuna fuga dal lavoro, piuttosto si cercano lavori migliori

Nel 2022 gli occupati in Italia sono 23,1 milioni, il dato più alto di sempre. E il lavoro è anche più stabile. Tra il 2019 e il terzo trimestre 2023, salgono del +5,0% i contratti permanenti e scendono del -4,5% quelli a termine.

Inoltre, non c’è alcuna fuga dal lavoro, piuttosto una corsa verso lavori migliori. Infatti, i dati Inps indicano che il tasso di ricollocazione a tre mesi dei dimessi volontari con meno di 60 anni è stato pari al 67,0%, quindi più alto rispetto agli anni precedenti.

Viva il welfare aziendale!

Lo conoscono sempre più lavoratori: l’81,8% degli occupati sa cos’è il welfare aziendale (il 32,7% in modo preciso e il 49,1% a grandi linee), mentre nel 2018 era il 60,2%.

Il welfare aziendale è anche molto apprezzato e desiderato, poiché tra i lavoratori che ne beneficiano l’84,3% lo vorrebbe potenziato, e tra coloro che non ne beneficiano l’83,8% vorrebbe fosse introdotto nella propria azienda. Inoltre, il 79,5% degli occupati apprezzerebbe un aumento retributivo sotto forma di una o più prestazioni di welfare. Lo afferma il 94,2% dei dirigenti, il 78,2% degli impiegati e il 74,8% degli operai. Il welfare aziendale di fatto può diventare uno degli strumenti migliori per trattenere o attrarre i lavoratori.

Azienda e lavoratori: un rapporto sbilanciato?

Il 61,5% degli occupati reputano adeguata l’attenzione aziendale in relazione alle esigenze dei lavoratori con figli, il 71,0% a quelle delle donne che rientrano dalla maternità, il 62,9% alle esigenze delle persone con una salute fragile, e il 52,3% alle condizioni base dei lavoratori.

Invece, per il 61,7% degli occupati l’azienda non è abbastanza attenta al benessere psicofisico generale di tutti i lavoratori, anche di quelli senza problematiche specifiche.
Sottolineano di più questo deficit di attenzione aziendale gli impiegati (62,3%) e gli operai (68,4%).

IVA: tutte le novità per la precompilata 2024

Nel futuro del Fisco si va sempre di più verso l’utilizzo e l’elaborazione delle informazioni a disposizione dell’Amministrazione finanziaria per arrivare a procedure pronte all’uso.
In questa direzione si inserisce la sperimentazione che riguarda i documenti IVA. Una sperimentazione che, partita nel 2021, è stata poi estesa a una platea di soggetti sempre più ampia, e che continuerà anche nel 2024.

Allo stesso tempo, le imprese e i professionisti interessati, così come gli intermediari, potranno contare su un panorama più ricco di servizi online.
In pratica, sulla base dei dati acquisiti con le fatture elettroniche, i corrispettivi telematici e le comunicazioni delle operazioni transfrontaliere, l’Agenzia delle Entrate elabora la cosiddetta precompilata IVA.

Prolungato il periodo di sperimentazione

Gli aggiornamenti sul percorso della precompilata IVA arrivano dall’Agenzia delle Entrate con il provvedimento numero 11806 del 19 gennaio 2024.
La decisione di prolungare anche al 2024 il periodo di sperimentazione nasce dall’esigenza di “consolidare e arricchire i dati precompilati della platea già individuata, considerato che la stessa riguarda circa 2,4 milioni di soggetti IVA”, si legge in una nota dell’Agenzia.

Le bozze dei registri IVA mensili, delle LIPE (comunicazioni delle liquidazioni periodiche), della dichiarazione annuale nonché i prospetti riepilogativi su base mensile e trimestrale risultano accessibili online a operatori, soggetti passivi IVA residenti e stabiliti in Italia, con liquidazione trimestrale. O a coloro che applicano uno specifico metodo per la determinazione dell’IVA ammessa in detrazione, come produttori agricoli o agriturismi.

Crescono i servizi online dell’Agenzia

A partire dalle operazioni effettuate dal 1° gennaio 2024, su cui si baseranno le elaborazioni dell’Agenzia, prende forma un nuovo servizio online legato alla precompilata che permette a imprese e professionisti interessati di scaricare in forma massiva determinati documenti. In particolare, bozze dei registri IVA mensili, prospetti riepilogativi IVA su base mensile e trimestrale, bozze delle comunicazioni delle liquidazioni periodiche, bozza della dichiarazione IVA annuale.

Da un lato, quindi, si consolidano e si arricchiscono i dati da inserire nella precompilata IVA, dall’altro crescono i servizi online a disposizione.
Il nuovo strumento web, già disponibile per i file di fatture elettroniche, corrispettivi ed elenchi relativi all’imposta di bollo, è accessibile anche da parte degli intermediari a cui si affidano gli operatori IVA interessati.

Maggiore integrazione con i sistemi gestionali

I dati che si ottengono in via automatica potranno essere importati nei sistemi gestionali o utilizzati per un confronto con le informazioni a disposizione di imprese, professionisti e intermediari.
La nuova funzionalità viene introdotta anche per recepire le richieste provenienti dalle associazioni di categoria per una maggiore integrazione con i sistemi gestionali.

Inoltre, anche le specifiche tecniche del tracciato delle fatture elettroniche utilizzabili a partire dal 1° febbraio 2024 avranno un impatto sui documenti IVA precompilati. I soggetti che adottano il regime speciale riferito alle attività agricole, infatti, potranno inserire informazioni utili all’Agenzia per calcolare l’ammontare dell’IVA a credito da riportare negli stessi documenti.

Nomadismo digitale: opportunità, vincoli, criticità e proposte di una tendenza

L’obiettivo del Rapporto Annuale sul Nomadismo Digitale in Italia nel 2023 è accrescere la consapevolezza e la conoscenza del fenomeno “nomadi digitali” nel nostro Paese, e comprendere in che modo lavoratori da remoto e nomadi digitali possano contribuire a sostenere un reale processo di rilancio e di sviluppo per l’Italia.

Il Rapporto si focalizza sulle opportunità e sugli impatti economici, sociali e ambientali derivanti dal lavoro remoto e dal nomadismo digitale sulle comunità locali, ed è realizzato dall’Associazione Italiana Nomadi Digitali ETS con patrocinio dell’Assessorato al Turismo, Sviluppo e Impresa Turistica della Regione Puglia, il supporto economico di Wind Tre e il contributo di Tribyou, Borgo Novus e Vivere di Turismo Business School.

“Il lavoro da remoto sta generando la più grande rivoluzione della stanzialità”

“Chi oggi pensa che il lavoro da remoto sia solo un modo diverso di lavorare si sbaglia profondamente – commenta Alberto Mattei, Presidente dell’Associazione Italiana Nomadi Digitali -. Il lavoro da remoto sta generando la più grande rivoluzione della stanzialità umana. Ci troviamo di fronte a una straordinaria opportunità, quella di attrarre lavoratori da remoto, professionisti e talenti nei piccoli centri e nelle aree interne del nostro Paese. Un processo che se gestito correttamente può generare un impatto positivo nelle comunità locali, contribuendo attivamente a ridurre il divario economico, sociale e territoriale in Italia”.

Cooperazione: l’elemento chiave per sviluppare progetti efficaci

Come valorizzare, quindi, i nostri territori attraverso l’attrazione di lavoratori da remoto, professionisti, e più in generale talenti, nei piccoli centri e nelle aree interne del nostro Paese?

Il report suggerisce la collaborazione tra istituzioni, enti di ricerca e soggetti pubblici e privati. La cooperazione è vista come l’elemento chiave per sviluppare progetti efficaci che rispondano ai bisogni dei nomadi digitali e alle esigenze delle comunità locali.

Due sinergie per il rilancio dei piccoli borghi

Wind Tre nel 2021 ha lanciato il progetto Borghi Connessi, con l’obiettivo di accompagnare la crescita dei piccoli Comuni italiani grazie a connettività e tecnologie smart. Secondo Alberto Pietromarchi, Wholesale Director e Sustainability Ambassador della società, “Il fenomeno dei nomadi digitali può riportare i piccoli borghi italiani in una posizione più centrale rispetto alla società italiana e stimolare la loro crescita economica e sostenibile“.
Gianfranco Lopane, assessore Turismo, Sviluppo e Impresa turistica Regione Puglia, aggiunge: “Le nostre comunità, fulcro di un percorso regionale di innovazione sociale e digitale, sono sempre più pronte ad accogliere chi da ‘turista’ diventa concittadino temporaneo e sceglie la Puglia come meta di viaggio, lavoro o anche di vita”.

GenAI in azienda, se la conosci non fa paura

Serpeggia un crescente senso di preoccupazione tra i dirigenti di alto livello in Italia riguardo alla diffusione sempre più ampia dell’intelligenza artificiale generativa (GenAI) all’interno delle aziende. Lo ha rivelato una recente indagine condotta da Kaspersky. Più nel dettaglio, il report evidenzia che il 97% dei dirigenti senior intervistati ha riferito che la GenAI è regolarmente utilizzata dai dipendenti, e il 57% ha dichiarato che viene impiegata per supportare specifiche attività.

Una risorsa aziendale fondamentale

Ciò che un tempo era considerato un nuovo sviluppo tecnologico, la GenAI è ora diventata una risorsa aziendale fondamentale capace di automatizzare una vasta gamma di compiti. Nonostante la maggior parte dei dirigenti italiani abbia discusso della GenAI durante i consigli di amministrazione (94%) e abbia riconosciuto la necessità di comprendere meglio come i dati vengano utilizzati dai dipendenti (87%), i risultati suggeriscono che i dirigenti di livello C abbiano perso il controllo sulla diffusione e l’utilizzo della GenAI nelle aziende.
Solo il 31% ha approfondito le questioni legate alle funzionalità e alle conseguenze della GenAI, mentre solo il 28% ha discusso l’implementazione di norme e regolamenti per monitorarne l’uso.

Occorre conoscere vantaggi (e rischi) della GenAI 

Cesare D’Angelo, General Manager Italy & Mediterranean di Kaspersky, ha sottolineato che, simile al fenomeno BYOD (Bring Your Own Device), la GenAI offre notevoli vantaggi in termini di produttività, ma la sua diffusione senza adeguato controllo potrebbe comportare rischi significativi per la sicurezza aziendale. La GenAI si basa sull’apprendimento continuo attraverso l’inserimento di dati, ma la preoccupazione principale riguarda la potenziale perdita di dati sensibili.
Oltre la metà dei dirigenti è allarmata dalla possibilità che i dipendenti possano involontariamente rivelare informazioni sensibili dell’azienda (53%) e dei clienti (52%) tramite l’uso delle piattaforme GenAI.

Perfetta per automatizzare processi ripetitivi 

Nonostante le preoccupazioni, quasi la metà dei dirigenti prevede di utilizzare la GenAI per automatizzare attività ripetitive (48%) anziché sostituire il personale (16%). Inoltre, il 47% dei dirigenti C-Suite vede la GenAI come un’opportunità per colmare il gap di competenze in futuro.

Tuttavia, nonostante i rischi di sicurezza, il 29% dei dirigenti è favorevole all’automatizzazione dei dipartimenti IT e di sicurezza informatica utilizzando la GenAI. Cesare D’Angelo ha concluso sottolineando l’importanza di comprendere a fondo la gestione dei dati e l’implementazione di solide politiche prima di ulteriori integrazioni della GenAI nell’ambiente aziendale.

Startup italiane: nel 2023 finanziamenti per oltre 1,1 miliardi

Ammontano a ‘solo’ 1,13 miliardi di euro gli investimenti totali in Equity di startup hi-tech in Italia nel 2023, in contrazione del -39% rispetto ai 1,86 miliardi dell’anno passato, e leggermente inferiori anche al 2021 (1,39 miliardi).

Secondo le evidenze emerse dall’Osservatorio Startup Hi-tech, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano in collaborazione con InnovUp – Italian Innovation & Startup Ecosystem, il dato evidenzia l’assenza dei grandi round di finanziamento sopra i 100 milioni, che avevano caratterizzato lo scorso biennio.
Ma, alla luce del calo generalizzato degli investimenti a livello globale, i dati confermano la solidità dell’ecosistema italiano.

La decrescita va inquadrata nello scenario macroeconomico internazionale

“È necessario – commenta Andrea Rangone, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio Startup Hi-Tech – inquadrare la significativa decrescita registrata nel 2023 nello scenario macroeconomico nazionale e internazionale in cui si collocano”. Il dato italiano è infatti in linea con quello internazionale, che ad esempio, vede il valore del mercato del Venture Capital Europeo diminuire del -49% nei primi 9 mesi dell’anno.

In ogni caso, gli investimenti da parte di attori formali (fondi Venture Capital indipendenti, Corporate Venture Capital aziendali e governativi) confermano il tradizionale ruolo guida per l’intero ecosistema, limitando la decrescita a -14%. Un dato che conferma il ruolo infrastrutturale assunto dal comparto formale, che nel 2023 vede anche la nascita di nuovi attori.
Continuano invece a giocare un ruolo marginale gli investimenti Corporate, strutturati o meno, nonostante la crescente attenzione degli esperti di settore.

Investitori informali più riluttanti, troppe incertezze

I finanziamenti da attori informali (Venture Incubator, Family Office, Club Deal, Angel Network, Independent Business Angel, piattaforme di Equity Crowdfunding, aziende non dotate di fondo strutturato di Corporate Venture Capital, e nuove forme di venturing quali Startup Studio e Venture Builder) registrano una contrazione del -43% circa.

Tale decremento è specchio della situazione contestuale, dove l’incertezza economica e l’aumento dei tassi d’interesse rendono gli investitori informali più riluttanti a investire a causa dell’alto rischio e dell’incertezza associati a tali investimenti, soprattutto se paragonati ad altre asset class più sicure.
Non sorprende, quindi, che anche il segmento Equity Crowdfunding registri una significativa contrazione.

Crollano i finanziamenti internazionali: -55%

Con un calo del -55% è la componente dei finanziamenti internazionali a determinare in maniera significativa il decremento rispetto al 2022. Un risultato che riflette soprattutto l’assenza dei grandi mega round, tradizionalmente alimentati da grandi player internazionali.
Peraltro, il calo ricalca una situazione comune a livello europeo, segnata da un costante declino dei finanziamenti late-stage e l’ormai cronica scarsità di exit, in particolare in termini di IPO.

Rispetto al benchmark internazionale, che compara gli investimenti da parte di attori formali in Italia con quelli dii altri ecosistemi europei più maturi ed economie comparabili, si mantiene il gap consolidato negli anni precedenti, con una dimensione relativa dell’ecosistema italiano pari a circa 1/6 rispetto a quello francese, 1/4 rispetto a quello tedesco, e comparabile rispetto a quello spagnolo.

A Natale cercasi oltre 4.000 profili lavorativi

Il Black Friday e le festività natalizie fanno registrare un forte incremento della domanda di personale in tanti settori diversi.
“Questa tendenza, sommata al quadro di elevato candidate shortage e quindi alla difficoltà di reperimento che le imprese stanno affrontando, crea significative opportunità di lavoro, con posizioni aperte a figure con e senza esperienza”, spiega Giada Donati, central delivery senior manager di Gi Group, l’agenzia italiana per il lavoro.
Sono infatti oltre 4.000 i profili ricercati da Gi Group, e si rivolgono a un ventaglio molto ampio di candidati e candidate, dai giovani che stanno muovendo i primi passi nel mondo del lavoro agli universitari che vogliono sfruttare il periodo di pausa dalle lezioni per fare esperienza, ai lavoratori con esperienza alla ricerca di nuove opportunità.

I settori: dalla logistica al customer care

Le opportunità riguardano i settori della logistica, la Grande Distribuzione Organizzata, retail, horeca e fast moving consumer goods, oltre all’ambito del customer care.
Per la logistica, ad esempio, sono 2.300 gli inserimenti previsti per i ruoli di magazziniere, carrellista, pickerista, autista, preparatore merce e impiegato di magazzino. Le proposte si rivolgono sia a profili senza esperienza pregressa sia a figure esperte. Si richiede disponibilità part-time, full-time e nei weekend.
Per la GDO sono invece più di 600 le posizioni aperte, come scaffalista, addetto/a ai banchi specializzati (gastronomia, macelleria, pescheria e forno) e cassiere/i.
Ci si rivolge sia a coloro che non hanno esperienza o a chi ha un percorso professionale già avviato. È richiesta disponibilità part-time, full-time e nei weekend.

Anche retail, horeca, fast moving consumer goods

Ulteriori opportunità arrivano anche dal settore retail, per il quale Gi Group sta cercando 600 profili come addetto vendita e allestimento, e dal settore horeca con 350 profili da inserire come addetto alla ristorazione, cameriere, barista, cuoco, commis di cucina e pizzaiolo.
Per gli inserimenti in ambito horeca è gradita l’esperienza nel settore e la disponibilità a lavorare anche nei giorni festivi e nel fine settimana.
Per il mondo fast moving consumer goods sono invece 200 le posizioni aperte come operaio alimentare, tutte rivolte a profili con esperienza pregressa in contesti produttivi o di magazzino, e si richiede disponibilità a lavorare su turni anche notturni.

Tante offerte in diverse regioni italiane

Si registra poi un elevato livello di richieste per il settore customer care, con 400 figure richieste da inserire come addetto customer service inbound e outbound.
Le posizioni disponibili sono rivolte a candidati con esperienza pregressa, persone in cerca di nuove opportunità così che intendono entrare per la prima volta nel mondo del lavoro. Si richiede l’utilizzo di sistemi informatici e la disponibilità part-time e su turni.
Le offerte interessano tutto il territorio nazionale. Per il settore Logistica, in particolare, Lombardia, Piemonte, provincia di Piacenza e di Chieti.
Per il settore Fmcg la ricerca si svolge principalmente in Veneto e Piemonte, mentre il customer care concentra la domanda in Lombardia, Piemonte, Campania, Lazio, Puglia, Calabria, Sardegna, Liguria ed Emilia-Romagna.

Intelligenza artificiale e nuove tecnologie promosse dai colletti bianchi italiani

Dirigenti, quadri e impiegati di aziende con almeno 10 dipendenti in Italia oggi esprimono maggiore maturità nei confronti delle nuove tecnologie digitali. E se rispetto al passato diminuiscono la curiosità e il senso di sfida, aumenta la percezione di opportunità e l’abitudine.

Dal terzo rapporto a cura della Fondazione Aidp e Doxa sugli impatti dell’Intelligenza artificiale e della digitalizzazione sul lavoro emerge un approccio tipico di crescita dell’auto-consapevolezza rispetto alle novità digitali. Tanto che il sentiment generale dei colletti bianchi verso le nuove tecnologie è positivo per il 90%, e tra i dirigenti la percentuale è ancora più elevata (99%).

Cresce la fiducia, sentiment generale più positivo

Oggi è più diffusa la convinzione che le nuove tecnologie abbiano portato maggiore efficienza (35%), aumento della qualità (30%), accrescimento di competenze e professionalità (27%) e alleggerimento della fatica (25%).

Il 31% degli intervistati ritiene che la tecnologia avrà un impatto positivo sul proprio lavoro (23% nel 2018), e l’83% afferma che i nuovi strumenti tecnologici e digitali avranno un impatto positivo sul mercato del lavoro in generale.
Rispetto al miglioramento della conciliazione lavoro/vita privata, il 62% esprime parere positivo, in particolare, giovani-adulti e genitori con figli tra i 6-11 anni.

 Le competenze accrescono la diffusione in azienda

Se per il 42% del campione il livello di diffusione delle nuove tecnologie risulta molto ampio in tutte le aree aziendali (56% grandi aziende) il 23% circa (42% dirigenti) è convinto che l’utilizzo di strumenti e tecnologie digitali favorisca soprattutto l’ottimizzazione dei tempi e dell’organizzazione del lavoro, migliorando fluidità ed efficienza dei processi, oltre l’aspetto relazionale, in particolare, con i clienti.

Inoltre, se il 63% delle aziende organizza regolarmente corsi di formazione sulle nuove tecnologie per i dipendenti il 67% del campione considera le competenze digitali dei nuovi assunti maggiori rispetto a quelle dei dipendenti con maggiore anzianità.

Ma ancora rischio sicurezza, privacy, affidabilità

Il 58% dei colletti bianchi però evidenzia un rischio medio-alto in termini di sicurezza, privacy, affidabilità e tutela delle informazioni derivante dall’ampia diffusione delle tecnologie digitali.
Il 52%, inoltre, sottolinea lo scarso controllo sulla veridicità delle informazioni, e il 32% ritiene che le nuove tecnologie non potranno mai sostituire completamente il lavoro umano (44% nel 2018).

Quanto a ChatGPT, riporta Adnkronos, una delle applicazioni più innovative di AI nell’ambito del lavoro intellettuale, il 36% del campione ha dichiarato di conoscerla bene, ma non la utilizza, solo l’8% la utilizza in azienda (19% dirigenti).
Le percentuali più elevate si registrano nell’utilizzo per l’assistenza e l’interazione con i clienti e per supporto di attività di data connection (55%).