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Videogiochi: in Italia è un’industria da 2,3 miliardi di euro

Lo ha rilevato il rapporto dal titolo ‘I videogiochi in Italia nel 2023’, pubblicato da IIDEA (Italian Interactive Digital Entertainment Association), l’Associazione di categoria dell’industria dei videogiochi in Italia: nel 2023 il mercato dei videogiochi in Italia ha continuato a mostrare una fase di crescita positiva, superando i 2,3 miliardi di euro, con un incremento del 5% rispetto all’anno precedente.

L’arrivo delle nuove console in stock è il principale motore del mercato (+70%), che traina anche le vendite di accessori (+46%). In aumento anche l’acquisto di nuovi videogiochi (+6%).

L’identikit del giocatore tricolore

L’incremento del fatturato pone l’Italia tra i primi cinque mercati europei del settore, registrando 13 milioni di giocatori distribuiti tra tutti i device di gioco. Un numero che rappresenta il 31% della popolazione italiana tra i 6 e i 64 anni.

I videogiocatori italiani attualmente sono soprattutto uomini, 8 milioni (61%), con un’età media di 30 anni, mentre le videogiocatrici sono 4,9 milioni (38%), con un’età media di 31 anni. L’età media del campione italiano è di 30 anni.
Un numero pari a 0,1 milioni persone non si identificano né come donne né come uomini, un dato rilevato quest’anno per la prima volta.

Dispositivi mobili più usati delle console 

Anche nel 2023 i dispositivi mobili risultano essere i più utilizzati dai videogiocatori, con 9,2 milioni di utenti che utilizzano lo smartphone soprattutto per giocare ai generi Brain/Puzzle (20%), Trivia (18%) e Giochi di ruolo/Strategia (16%).
Ai dispositivi mobili seguono le console, con 5,6 milioni di videogiocatori, che giocano principalmente a titoli di genere Sport (29%), Racing (26%) e Shooter (22%).

Al terzo posto i PC, con 4,6 milioni di videogiocatori, che si cimentano prevalentemente in titoli di genere Strategy (19%), Shooter (16%) e Sport (14%).
Quanto al tempo dedicato al gaming, il 73% dei videogiocatori gioca almeno un’ora a settimana, per un tempo di gioco medio totale pari a circa 6,53 ore a settimana, un’ora in meno rispetto al 2022.

Record per il segmento hardware

Il 2023 ha segnato anche un anno record per il segmento hardware, che ha visto un aumento senza precedenti, pari al 63% rispetto all’anno precedente, grazie alla disponibilità di nuove console.
Questo ha portato le vendite di hardware a un valore stimato di 487 milioni di euro, con un incremento del 70% su base annua. Anche le vendite di accessori hanno visto una crescita robusta, aumentando del 46%, e raggiungendo un valore di 178 milioni di euro.

Nonostante un calo complessivo dell’8%, il software rimane il segmento più significativo dell’ecosistema, con un valore stimato di 1,6 miliardi di euro, il 71% del mercato totale. L’acquisto di nuovi videogiochi è aumentato del 6% rispetto al 2022, portando a un totale di 777 milioni di euro. Di questi, il 46% proviene da vendite fisiche mentre il 54% da canali digitali.

Fake news: approfondire sul web non aiuta a trovare la verità

Valutare notizie false attraverso gli strumenti online potrebbe farci credere ancor più a informazioni errate.
Lo ha dimostrato una ricerca condotta negli Stati Uniti da Kevin Aslett e dal suo team presso l’Università della Florida Centrale.
Chi cerca di sfatare le fake news e approfondire un argomento cerca prima di tutto su internet, e nel 19% dei casi queste persone tendono a considerare queste notizie come vere rispetto a chi non compie ricerche online. Questo risultato è stato confermato attraverso quattro esperimenti separati condotti da Kevin Aslett e pubblicati su Nature.

Lo studio ha coinvolto più di 3.000 partecipanti e ha svelato il rischio insidioso nell’uso dei motori di ricerca online.
In pratica, tentare di approfondire un argomento o una notizia sul web spesso non aiuta a sfatare le notizie false e costruite ad arte.

Un allarme sulla fiducia riposta nelle ricerche online

I partecipanti allo studio sono stati chiamati a valutare l’accuratezza di notizie recentemente pubblicate, e i risultati hanno rivelato un dato sorprendente. Coloro che sono stati incoraggiati a cercare online per valutare la veridicità delle notizie false erano il 19% più propensi a considerare affermazioni false come vere rispetto a coloro che non sono stati spinti a fare ricerche online.
Questo esperimento è stato ripetuto quattro volte, ottenendo risultati consistenti.

Si tratta di una scoperta che solleva l’allarme sulla fiducia che viene riposta da noi tutti nelle ricerche online, e al contempo, sottolinea l’importanza di essere più critici nella valutazione delle informazioni trovate su Internet.
I ricercatori indicano però che questo fenomeno potrebbe essere causato dalla scarsa qualità delle informazioni ottenute tramite le ricerche effettuate online.

Occorre una valutazione più critica delle informazioni

In altre parole, le persone potrebbero finire per credere a notizie false semplicemente perché i motori di ricerca forniscono dati di bassa qualità.
In conclusione, lo studio americano sottolinea l’urgente necessità di sviluppare programmi di alfabetizzazione digitale che mettano in guardia sulle trappole delle ricerche online, e promuovano una valutazione più critica delle informazioni.

La fiducia nei motori di ricerca va accompagnata quindi a una consapevolezza della qualità delle informazioni che questi ci offrono, riferisce Agi.

ChatGpt crede alle teorie del complotto

Ma alla trappola non sfugge neanche l’Intelligenza artificiale di ChatGpt, che secondo un altro studio presentato da ricercatori dell’Università di Waterloo in Canada al Workshop Trustworthy Natural Language Processing di Toronto tende a credere alle teorie del complotto.

In ogni caso, è tendenza comune ritenere che a veicolare la disinformazione, in particolare notizie false e teorie del complotto, siano i social network e che l’antidoto contro le false notizie sia quello di fare ricerche online per approfondire e fare poi valutazioni indipendenti, riporta l’Eco di Bergamo.

Google: una nuova funzione trova i dati personali e li nasconde

Che Internet sia una fonte di informazioni inesauribile e in continuo aggiornamento di cui non possiamo più fare a meno, è ovvio. E che nonostante i numerosi vantaggi esistano anche rischi legati alla privacy dei propri dati personali è altrettanto scontato.
Il panorama digitale è vasto e in costante evoluzione. Ma chi non ha mai provato a cercare il proprio nome, indirizzo o numero di telefono su Google? Chi lo ha fatto sa bene quante informazioni personali possono emergere dai risultati di ricerca. Informazioni che magari non si vogliono rendere pubbliche.
Google, che detiene circa l’83% del mercato delle ricerche, ha però sviluppato una funzione per aiutare gli utenti a proteggere le proprie informazioni private. Di cosa si tratta?

Gestire e controllare la visibilità delle proprie informazioni

La funzione di Google offre uno strumento per gestire e controllare la visibilità delle proprie informazioni. In sostanza, si tratta di un nuovo strumento per la privacy che scansiona la presenza dei nostri dati sensibili pubblicati sul web.
Questa funzione ricerca attivamente dettagli specifici dell’utente, come numeri di telefono, indirizzi e-mail e indirizzi di casa.
Quando tali dati vengono identificati, Google avvisa l’utente permettendogli di prendere le misure necessarie per proteggere tali informazioni dalla visibilità pubblica.
Tutto questo rappresenta un passo nella direzione giusta, ovvero quella di proteggere la privacy degli utenti e combattere il cosiddetto doxxing, la pratica di cercare e diffondere online informazioni private.

I dati restano online, ma visibilità e accessibilità sono fortemente ridotte

Sfruttando questa funzione gli utenti possono quindi godere dei vantaggi dell’era digitale, mantenendo al contempo un certo grado di privacy e sicurezza.
È fondamentale sottolineare che questa funzione di Google non elimina i dati personali dal web. Ciò che fa è impedire che queste informazioni appaiano nei risultati di ricerca di Google, rendendo notevolmente più difficile per chiunque trovarli.
La distinzione è cruciale: i dati restano online, ma la loro visibilità e accessibilità sono fortemente ridotte.

Google ti avvisa quando trova “risultati su di te”

Tramite una semplice opzione sulla pagina del proprio account Google, dove si possono controllare tutte le volte in cui un’informazione personale compare fra i risultati di ricerca, il motore di ricerca avvisa se le proprie informazioni personali sono state trovate, oppure invia una notifica da un alert quando compare un nuovo risultato. La scelta di rimuoverle o meno resta appannaggio dell’utente.
Se si desidera apportare modifiche in futuro è sempre possibile tornare alla pagina ‘Risultati su di te’ (Results about you) e fare le modifiche necessarie. Come riporta Adnkronos, attualmente la funzione è disponibile solo negli USA, ma dovrebbe arrivare presto anche in Italia.

Podcast, in un anno il numero di ascoltatori è aumentato del 39%

La popolarità dei podcast continua a crescere, con il numero di ascoltatori che nel corso dell’ultimo anno è aumentato al 39% tra le persone dai 16 ai 60 anni, raggiungendo circa 11,9 milioni di persone. Questo rappresenta un aumento rispetto al 36% dell’anno precedente, dimostrando che il format dei podcast gode di ottima salute e ha una base di ascoltatori fedele e coinvolta. I risultati del 2023 della ‘Ipsos Digital Audio Survey’, un’indagine che misura l’ascolto e le modalità di fruizione di tutte le forme di audio digitale, offre a questo proposito un punto di vista privilegiato sul mondo dei podcast.
Lo studio, giunto alla sua quinta edizione dopo il lancio nel 2019, è diventato un punto di riferimento per produttori, distributori e investitori interessati ai podcast e a come posizionarli all’interno di una strategia audio. Riteniamo che sia essenziale avere una solida base di informazioni per raccontare e valorizzare adeguatamente i podcast, soprattutto in un momento in cui il loro impatto è in costante crescita.

Il pubblico? Giovane, istruito e responsabile

Chi sono gli ascoltatori dei podcast? Il profilo degli ascoltatori dei podcast continua a rispecchiare le tendenze che lo hanno contraddistinto sin dall’inizio del nostro monitoraggio. Si tratta di un pubblico più giovane rispetto alla media, con un livello di istruzione elevato e una professione di alto livello. Inoltre, si distinguono per alcune caratteristiche “pregiate” in termini di comportamenti di consumo, come la responsabilità nel consumare contenuti, l’apertura all’uso delle tecnologie, l’interesse per prodotti/servizi premium e la sensibilità alle raccomandazioni degli artisti che seguono. Sono anche influencer all’interno del loro gruppo di pari quando si tratta di intrattenimento.

L’ascolto? Ovunque, ma soprattutto a casa

Dove ascoltano i podcast? Il podcast è un formato che si presta all’ascolto ovunque e in qualsiasi momento, con la maggior parte delle persone che utilizza lo smartphone (75%) come dispositivo principale per l’ascolto. Tuttavia, una percentuale significativa di ascoltatori utilizza anche altri dispositivi, come computer (33%), tablet (23%) e, in particolare, altoparlanti intelligenti (13%).
L’ascolto dei podcast avviene principalmente a casa (74%), ma c’è anche un aumento dell’ascolto in auto (33%), un dato da tenere d’occhio. La fruizione sui mezzi di trasporto (20%) e l’ascolto in strada/camminando (21%) rimangono stabili.

Un format che crea fedeltà

Il 2023 conferma che i podcast sono qui per restare, con quattro ascoltatori su dieci che affermano di ascoltare più podcast rispetto all’anno precedente. Questo maggiore ascolto ha anche portato a un miglioramento dell’opinione degli ascoltatori sui podcast, dimostrando un forte attaccamento a un formato che offre contenuti di alta qualità. Interessante notare che, sebbene l’interesse per un argomento specifico rimanga il motivo principale (32%) per ascoltare un podcast, il peso di questo fattore tende a diminuire nel tempo, mentre altri “trigger” come siti di notizie, post sui social media, passaparola online e offline, suggerimenti da piattaforme podcast, contenuti televisivi o radiofonici iniziano a guadagnare importanza. I podcast dimostrano di avere la capacità di trattenere l’attenzione, con il 57% degli utenti che dichiara di ascoltare un podcast per l’intera durata. Un altro dato incoraggiante è la conferma della “serializzazione” dell’ascolto, con il 78% degli ascoltatori che dichiara di ascoltare serie di podcast, spesso nella loro interezza. La serializzazione è un potente mezzo per generare fedeltà, ritualità e promuovere conversazioni e condivisioni.